giovedì 5 febbraio 2015

MARION BAILEY È SOPHIA BOOTH NEL FILM “TURNER”

Abbiamo incontrato l’attrice, alla sua quarta collaborazione con il regista Mike Leigh, che questa volta l’ha voluta nel ruolo della donna con cui il pittore William Turner ha passato gli ultimi anni della sua vita 

Mation Bailey


Attrice di teatro, allieva della prestigiosa Guildhall School of Music and Drama, volto noto per gli appassionati di serie tv (ha interpretato Jill in Him&Her ed è apparsa in Being Human), al cinema la figura di Marion Bailey è indissolubilmente legata a quella di Mike Leigh, regista che le ha affidato uno dei suoi primi ruoli in Meantime, nel 1984, e con cui ha lavorato in seguito anche in Tutto o niente (2002) e Il segreto di Vera Drake (2004). Interprete malleabile, in grado di cambiare postura, tono di voce e accento a seconda del personaggio, Bailey è una delle attrici di riferimento di Leigh, che l’ha voluta anche nella sua ultima pellicola, Turner, film sulla vita del grande pittore William Turner, virtuoso dei paesaggi, in particolare marini. In Turner, presentato al 67esimo Festival del Cinema di Cannes, dove il protagonista Timothy Spall è stato premiato per la migliore interpretazione maschile, Bailey interpreta Sophia Booth, vedova proprietaria di una locanda nel Kent, con cui il pittore ha passato gli ultimi anni della sua vita. L’attrice ha dato diverse sfumature al personaggio, donandole una risata caratteristica e lavorando moltissimo su accento e postura, compito non facile vista l’assenza di testimonianze audiovisive su cui basarsi.

Abbiamo incontrato Marion Bailey in occasione della presentazione del film a Roma, dove ci ha parlato di come ha lavorato per costruire il personaggio e di come affidarsi a Mike Leigh sia un processo misterioso e allo stesso tempo magico. 

Questa è la sua quarta collaborazione con Mike Leigh: com’è lavorare con lui? 
“Con Mike ho lavorato non solo al cinema, ma anche a teatro: con lui non sai mai come potrà andare a finire. Lavoriamo insieme per creare il personaggio e costruire la storia e pian piano il film prende forma: è la sua magia, non so spiegarlo bene, ma seguiamo un canovaccio e poi tutto diventa reale. Per il ruolo di Mrs. Booth ho fatto molte ricerche: ho letto diverse biografie e mi sono resa conto che ci sono voci contrastanti sul suo conto. Alcuni dicono che fosse una brava donna affezionata a Turner, altri che cercava soltanto il suo denaro”. 

Secondo lei come mai Turner è riuscito ad avere una relazione serena praticamente soltanto con Sophia Booth? Dal film si capisce che il suo rapporto con le donne era pessimo. 
“Credo che molto sia dipeso dal fatto che la madre di Turner era una donna violenta: se ne è separato presto e la cosa lo ha sicuramente scosso, poi la sorella, che adorava, è morta quando lui aveva appena otto anni. Penso che queste esperienze lo abbiano segnato e abbiano condizionato il suo rapporto con le donne. Inoltre, anche se nel film la storia è romanzata, credo che fosse affezionato alla sua domestica e prima di morire lasciò scritto che voleva che la sua casa andasse a lei, quindi non con tutte le donne della sua vita ha avuto problemi. Non sappiamo con certezza come fosse il suo rapporto con Sophia Booth: credo che si siano trovati bene insieme perché avevano la stessa provenienza, erano entrambi provenienti dalla working class e avevano genitori illetterati”. 

Nel film interpreta una delle persone più vicine a Turner: secondo lei com’era stargli vicino? Il film fa capire come non fosse una persona amabile. 
“Turner aveva molte facce: era scorbutico, non sopportava gli stupidi e si spazientiva presto ma era anche generoso e aveva una grande sensibilità. Non tutti sanno che Turner scriveva anche poesie: non mi stupisco del fatto che Mike Leigh sia rimasto affascinato da lui. Credo che anche Mrs. Booth abbia visto la sua sensibilità al di là delle apparenze e allo stesso tempo credo che abbia sofferto a stare accanto a un uomo affetto dall’egoismo degli artisti, sono così concentrati sul loro lavoro che è difficile star loro vicino”. 

Quanto è stato difficile interpretare un personaggio realmente esistito ma di cui non esistono testimonianze audiovisive? Come lo ha costruito? 
“Ho fatto molte ricerche alla British Library e siamo riusciti a trovare delle registrazioni audio di persone nate nel Kent negli anni ’50, quindi più o meno quando Sophia Booth è morta. Grazie a questi documenti ho potuto lavorare sull’accento: in quel periodo si parlava in maniera diversa da oggi in quelle zone. Inoltre ho letto molto, soprattutto Dickens, che ha viaggiato nel Kent, e ho preso il maggiore spunto proprio da un suo personaggio, Clara Peggotty (uno dei protagonisti di David Copperfield, ndr). Inoltre ho studiato la condizione femminile dell’epoca: paradossalmente nel periodo georgiano le donne erano molto più libere che in quello vittoriano. Booth era una donna indipendente”. 

Il film è nominato a diversi premi Oscar, tra cui migliore fotografia a Dick Pope e migliore colonna sonora a Gary Yershon: ci sarà anche lei la notte degli Academy Award? 
“No, non sarò agli Oscar. Sono felice però per Dick Pope: con Mike hanno lavorato al film per dieci anni! Il film è a basso budget ma grazie al suo lavoro sembra una produzione almeno dieci volte più costosa. La musica è straordinaria: Yershon ha deciso di non usare melodie dell’epoca, creando un contrasto geniale. Vorrei che anche Mike fosse stato nominato perché ha fatto un lavoro straordinario”. 

È stato difficile recitare con quei corsetti? 
“Certo, indossare un corsetto cambia il modo in cui ti muovi, ma gli esseri umani sono sempre umani: cambiano i vestiti e le abitudini, ma la loro natura è sempre la stessa. Credo sia questo il segreto per creare un personaggio d’epoca e renderlo reale: bisogna sempre vederlo come un essere umano”. 

Questo è un film con diversi personaggi, quanto è stato importante il ruolo del regista per unire il cast? 
“Fondamentale: Mike ha fatto comunicare tutti i dipartimenti, c’è stato dialogo tra i costumisti e i responsabili degli oggetti di scena, tra tutti gli attori e io stessa ho discusso con lui di tutto, come per esempio con quanta frequenza avrei dovuto lavarmi i capelli per rendere credibile il mio personaggio”.

Timothy Spall e Marion Bailey



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