giovedì 5 febbraio 2015

MIKE LEIGH: L’INTERVISTA AL REGISTA DI “TURNER”

Esce in questi giorni nelle sale italiane, il film sulla vita del pittore inglese, maestro nel catturare la luce dei paesaggi marini. Presentato in concorso al Festival di Cannes e premiato per la migliore interpretazione maschile del protagonista Timothy Spall 

Mike Leigh


Poeta della luce e maestro nell’arte paesaggistica, artista sublime e mago del colore, ma allo stesso tempo uomo burbero, pieno di ombre, dal passato triste e con un rapporto pessimo con quasi tutte le donne della sua vita, attaccato visceralmente all’esistenza ma angosciato dalla morte e dalla perdita: è comprensibile che Mike Leigh, regista in grado come pochi di raccontare la vita quotidiana e gli aspetti più intimi e a volte anche sgradevoli di una persona, sia rimasto affascinato dalla figura contraddittoria e singolare di William Turner, pittore inglese dell”800 in grado di catturare la meraviglia della luce nelle sue tele e orso nel privato. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove è stato premiato per la migliore interpretazione maschile a Timothy Spall, il film racconta gli ultimi 26 anni di vita di Turner, dalla perdita dell’adorato padre alla morte, avvenuta tra le braccia di Sophia Booth (Marion Bailey) al suono delle parole: “Il sole è Dio”. 

Abbiamo incontrato Mike Leigh che ci ha parlato del suo fascino per la figura di Turner, su cui ha compiuto anni di ricerche, e dell’esigenza di fare film che raccontino persone vere, colte anche nei loro difetti e debolezze. 

Mike Leigh e Timothy Spall sul set di Turner


Il suo film non è un classico biopic in cui si racconta la vita di un’artista, ma una riflessione sull’arte e sulla vita. 
“Sì, a un certo livello sì, non è un biopic, non ha una costruzione narrativa causale, ma una serie di immagini che sommate fanno una vita, è sicuramente una riflessione sull’arte e su quello che vuol dire essere un’artista. Non si vede il moto creativo perché è impossibile rappresentarlo, ma comunque nel film rifletto sulla figura dell’artista, un’occupazione che è anche fisicità, il sublime che si accompagna alla fatica: un aspetto che mi affascina”. 

Nel suo film non cerca di imbellire fatti e personaggi, una scelta in controtendenza rispetto ai biopic che vanno per la maggiore a Hollywood. 
“Credo che il successo del film sia dovuto anche a questo: quando si realizza un film sulla vita di un artista del genere ci si confronta con immagini iconiche, con miti che si decide di sfidare. Non solo in Turner, ma anche in tutte le mie pellicole cerco sempre di mostrare persone e vite vere: il sesso, l’amore non sono belli come nei film, perfino a Los Angeles le persone non sono belle come nei film di Hollywood. Fin da piccolo ho cercato la vita vera e ho sempre cercato di rimanere fedele a questa idea: all’epoca di Turner non si facevano mai la doccia, il grande artista non è una figura angelica, non lo si può rappresentare come se i suoi quadri fossero una proiezione ectoplasmatica della sua testa. Gli artisti si sporcano le mani. Comunque potrei farci un film di fantascienza su questa idea: artisti che creano opere come se fossero ectoplasmi”. 

Come mai ha deciso di mostrare nel film l’esperimento sul magnetismo? 
“Turner era affascinato dalla scienza, ha compiuto studi sui negativi e la fotografia ed era affascinato dai treni, era curioso e intrigato dal progresso: credo che tutti i cambiamenti che ha vissuto lo abbiano formato come persona e abbiano contribuito alla sua sensibilità di artista. Tutti gli artisti si alimentano di quello che vedono”. 

La scena della boa alla Royal Academy è accaduta davvero? 
“Sì, è accaduta veramente, ci sono delle prove di questo episodio. Abbiamo costruito il suo ritratto a partire da tutte le fonti che avevamo e abbiamo scoperto che Turner era un uomo come tutti: amava bere, scopare e fare battute”. 

Nel film il critico d’arte John Ruskin non è molto apprezzato da Turner: è un suo modo per esprimere l’opinione che ha dei critici? 
“No, era la rappresentazione di quella persona, Turner in particolar modo lo riteneva un cazzone, apprezzava il suo entusiasmo e soprattutto la ricchezza di suo padre che comprò diversi suoi quadri, ma fondamentalmente lo considerava un fesso”. 

Come mai ha deciso di raccontare la vita di Turner per episodi? 
“Non avrei saputo raccontare la storia in un altro modo: per me non è frammentata, credo sia importantissimo dare a un film una fluidità, un movimento, come nella musica. In realtà il film ha una sua sinuosità, un’architettura ben precisa. L’azione si sviluppa in 26 anni quindi il modo di raccontare più adatto per me era questo”. 

Il grugnito particolare che Timothy Spall fa per caratterizzare Turner è un fatto storicamente accertato? O è un aspetto che avete aggiunto per costruire il personaggio? 
"Sono abituato a mostrare persone così come sono nella vita vera e all’interno del loro comportamento. Abbiamo trovato diverse testimonianze su Turner e pare che effettivamente grugnisse, facesse strani rumori, fosse caustico e a volte rispondesse con monosillabi”. 

Ha sempre pensato a Timothy Spall come interprete ideale? 
“Non ho chiesto a nessun altro di recitare la parte: ho sempre pensato che Spall fosse il più adatto. La sua preparazione è durata due anni e mezzo: ha imparato davvero a dipingere”.

Quando ha capito che quella di Turner era una storia che voleva raccontare? 
“Anni fa mi trovavo alla National Gallery a osservare un suo quadro e ho pensato che poteva essere una bella storia. Poi mi sono documentato sul Turner privato, non il grande pittore, e sono rimasto colpito dal contrasto tra l’artista e l’uomo”. 

Da narratore di storie la affascina il fatto che un pittore abbia a disposizione una sola immagine per raccontare una storia intera? 
“In un certo senso sì: un regista racconta una storia ad ogni fotogramma e possiamo dire che la scelta dell’inquadratura è fondamentale, è come la prospettiva per un pittore, anche se, a differenza della pittura, il cinema ha il vantaggio del movimento e del tempo”.

Mike Leigh sul set di Turner


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